Green Economy: una soluzione al rischio climatico
Se il 2020 sarà ricordato come l’annus horribilis con il globo terreste segnato dalla pandemia Covid, il precedente anno è stato contraddistinto dai “Fridays for Future” un movimento positivo con l’obiettivo di far riflettere e di sensibilizzare sugli effetti dei comportamenti e delle scelte dell’uomo sul nostro pianeta. Sembrano ormai lontani i tempi delle manifestazioni davanti al Parlamento svedese per protestare contro l’indifferenza della politica nei confronti della crisi climatica, manifestazioni successivamente replicate in diversi Paesi. Eppure, il rischio climatico non è scomparso, anzi: secondo i climatologi abbiamo solo 8 anni per evitare le conseguenze peggiori.
Rischio climatico: un equilibrio in bilico
Il nostro pianeta si regge su di un insieme di equilibri legati tra di loro, di cui il livello della temperatura fa parte. Quando si parla di rischio climatico si fa riferimento all’aumento della temperatura terrestre e soprattutto alle conseguenze concrete di questo aumento sul nostro pianeta. Ma questo ha anche un impatto sui portafogli di investimento. Già nel 2018 l’Eiopa (European Insurance and Occupational Pensions Authority) aveva evidenziato che «i rischi legati al clima sono considerati fra i principali rischi globali. I disastri legati al mutamento meteorologico stanno diventando più intensi e anche più frequenti».
La frequenza dei fenomeni dimostra che a livello globale ci troviamo a fronteggiare una nuova “normalità”. Secondo un sondaggio promosso dalla società di consulenza globale A Bird’s Eye View, che ha coinvolto 1.000 persone in 7 Paesi, tra cui l’Italia, oltre il 90% del campione intervistato ritiene che la ripresa debba necessariamente tenere conto delle questioni ambientali e sociali, oltre che di quelle economiche.
Sarà quindi la Green Economy a fare da traino per la ripresa.
Un’economia più “verde” è possibile”
Ma cos’è la Green Economy? In estrema sintesi è una tipologia di economia che punta a ridurre le emissioni di CO2, formula chimica dell’anidride carbonica che rappresenta quello che comunemente chiamiamo inquinamento. L’obiettivo? Conservare l’ecosistema e mantenere intatta la biodiversità. Affinché l’economia diventi davvero “verde”, però, sono necessari interventi privati e pubblici per migliorare l’efficienza energetica nei diversi cicli produttivi tipici di una società industrializzata avanzata. .
La Green economy cerca quindi di innescare un meccanismo virtuoso, che permetta di gestire al meglio le risorse, minimizzando l’impatto ambientale e, allo stesso tempo, facendo crescere il PIL.
A che punto siamo in Italia? Per individuare quali sono i Paesi più “verdi”, una ventina di anni fa è stato realizzato l’Environmental Performance Index (EPI), un progetto lanciato dal World Economic Forum e portato avanti dall’Università di Yale, volto a dare una visione globale della performance ambientale di 180 paesi e funzionale a stilarne una classifica. Nel 2020 la medaglia d’oro va alla “virtuosa” Danimarca, ai vertici del ranking da diversi anni, seguita da Lussemburgo e Svizzera. L’Italia si colloca al ventesimo posto, ben lontana dalla top 10 dei paesi più green del mondo (era ottava nel 2012).
Il Green Deal europeo a emissioni zero
Le recenti dichiarazioni della Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, sembrano individuare nei progetti sostenibili il principale motore per far ripartire l’economia post epidemia. A marzo, infatti, la Commissione ha approvato il Green Deal, un importante programma per contrastare il cambiamento climatico, che mira a trasformare il Vecchio Continente nel primo blocco di Paesi a impatto climatico zero entro il 2050. L’Unione Europea ha sempre mostrato di essere sensibile al tema della sostenibilità e ben prima del Green Deal aveva iniziato a modernizzare e trasformare l’economia con l’obiettivo della neutralità climatica. Tra il 1990 e il 2018 l’Europa ha ridotto del 23% le emissioni di gas a effetto serra.Tuttavia, mantenendo le attuali politiche, la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra sarebbe limitata al 60% entro il 2050, mentre il Green Deal punta al totale azzeramento.
La lotta contro il cambiamento climatico si inserisce all’interno degli United Nations Sustainable Development Goals (SDGs), obiettivi di sviluppo che le Nazioni Unite si sono dati nel 2015 come guida per uno sviluppo sostenibile dell’economia globale. Obiettivi che, secondo le Nazioni Unite, saranno indispensabili per far fronte all’impatto dell’aumento della popolazione; nel 2030 – secondo le ultime stime – la Terra accoglierà infatti 8,3 miliardi di persone.
Quali sono i prossimi passi?
Su quali settori il Green Deal avrà il maggiore impatto? Per far sì che il consumo finale di energia da fonti rinnovabili aumenti dal 20% al 32% entro il 2030, gli investimenti nel settore dovranno crescere del 5% ogni anno per i prossimi dieci anni. Questo accrescerà la domanda di energia pulita favorendo tutte quelle società attive sul fronte sostenibilità. Altri settori che subiranno un forte impatto dal programma green europeo sono i trasporti, responsabili di oltre un quarto delle emissioni di CO2 in Europa, e l’edilizia, che richiederà importanti interventi per l’efficientamento energetico dei materiali di costruzione.
Le varie imprese dovranno focalizzare la loro attenzione per favorire il passaggio da un uso “a esaurimento” a un uso “a recupero” dei materiali utilizzati. Come? Recuperando e trattando scarti e sottoprodotti come materiali per altri utilizzi, utilizzando fonti di materiali rigenerative e progettando beni e prodotti in modo tale da ridurre al minimo l’utilizzo delle risorse lungo tutto il ciclo vitale.
Tra i settori che maggiormente stanno investendo risorse in questa prospettiva, volendo considerare un’ottica di breve periodo, risulta sicuramente il manifatturiero. Se ci focalizziamo infatti sull’operatività Corporate di Banco BPM degli ultimi mesi, registriamo che tale settore ha largamente beneficiato di nuove erogazioni, coprendo circa un terzo delle erogazioni totali Corporate (31%).
Ma in termini di più ampio respiro, qual è il ruolo delle Banche in questo delicato scenario? Come si pone Banco BPM in un contesto così sfidante?
La Banca è fortemente impegnata sul fronte del supporto alle aziende che intendano intraprendere una transizione ecologica. Basti pensare, solo nell’ultimo triennio, alle operazioni di Finanza strutturata concluse in ambito Energy and Utilities e nel settore del Real Estate.
E molto si farà in futuro in termini di incentivo all’adozione di best practice: le nostre politiche di finanziamento, in altre parole, potranno influenzare e, indirettamente, orientare le scelte delle imprese clienti verso obiettivi sostenibili.
In quest’ottica si pone l’attivazione, ad esempio, di un plafond di 5 miliardi di euro dedicato alle aziende che investono in ambito ESG, unitamente all’imminente disponibilità del nuovo Ecobonus 110% (Superbonus).
Di AdviseOnly
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