Enti locali e modifiche al PNRR: cosa cambia con la proposta per Bruxelles
Per quanto le opinioni su cause, misure economiche e sociali, impatto sulla finanza e strascichi della fase acuta siano variegate, tutti gli osservatori mondiali concordano su un aspetto: la pandemia di Covid19 è stato un evento eccezionale, di proporzioni tali da cambiare le logiche politiche e produttive mondiali. In Europa, eccezionale è di certo l’accordo trovato fra i Paesi dell’Unione per un sostegno comune alla ripresa tramite l’emissione di debito comunitario. Su queste premesse, il PNRR aveva i presupposti per cambiare l’Italia con una forza riformatrice paragonabile al Piano Marshall. Eppure, complici altri eventi inaspettati, come l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia o la crescita dell’inflazione, il Recovery Plan italiano si trova sotto la lente di ingrandimento europea, sia per quanto riguarda la tabella di marcia che per le modifiche richieste dal Governo Meloni.
PNRR targato Meloni: cosa cambia
Le modifiche riguardano 144 investimenti e riforme e sono suddivisibili in tre categorie.
- In primis, le modifiche formali relative alla descrizione delle misure e dei meccanismi di verifica, al fine di consentire una rendicontazione dei progressi più precisa e facilitare il giudizio di Bruxelles sull’emissione delle rate del finanziamento.
- La seconda categoria riguarda modifiche di misure che, a causa di forti criticità o impossibilità fisiche a raggiungere alcuni obiettivi, le Amministrazioni hanno proposto di riprogrammare a favore di interventi coerenti di natura settoriale. Ad esempio: alcuni interventi relativi all’Alta velocità ferroviaria dove sono emerse criticità archeologiche o geologiche.
- Terza e ultima categoria, le misure che saranno escluse dal PNRR e finanziate con altre fonti, come il Piano Complementare o i fondi delle politiche di coesione (RepowerEu). Si tratta di 9 misure per un ammontare di circa 15,9 mld di euro. Ed è su questo aspetto che si concentra l’attenzione degli Enti locali.
Da sottolineare come, tra i fondi stanziati inizialmente per le misure che saranno stralciate dal piano, circa 12 mld di euro siano già stati assegnati a progetti e opere concrete. Il reindirizzamento sul RepowerEU avverrà in due modi: per quanto riguarda l’idrogeno, i settori energivori e gli investimenti urbani green, il definanziamento sarà parziale. Al contrario, per le restanti proposte, ossia la maggioranza, il definanziamento sarà totale.
Gli interventi di maggior rilevanza riguardano la valorizzazione del territorio e l’efficientamento energetico degli enti locali, con un taglio di circa 6 mld di euro, giustificati dal mancato rispetto dei vincoli europei e dalla difficoltà di controllo e rendicontazione dei progetti. Altro investimento che verrebbe meno riguarda i progetti di rigenerazione urbana contro il degrado sociale, con un taglio di circa 3,3 mld di euro, a cui si aggiunge un taglio di circa 3,2 mld di euro per i piani urbani integrati. Entrambe le decisioni riguardano direttamente i comuni, in particolare le città metropolitane.
Di minor rilievo economico ma di grande risonanza sociale è il definanziamento di 300 mln di euro per la misura di valorizzazione dei beni confiscati alle mafie. L’obiettivo, in questo caso, è traslare i fondi verso un nuovo progetto: la creazione di un’unica ZES del Mezzogiorno per sostituire le attuali otto. Ufficialmente, il definanziamento riguarda misure relative a progetti ideati prima dell’avvio del PNRR e che, dunque, non rispettano i criteri DNSH (Do No Significant Harm), ossia il principio di non arrecare danno all’ambiente, caratteristica che ogni iniziativa del Next Generation EU deve possedere. Inoltre, si tratta di misure
per le quali i soggetti attuatori sono i comuni, aspetto che ne complicherebbe l’avanzamento a causa dell’eccessiva burocrazia.
Infine, il taglio riguarda investimenti in ritardo, anche a causa della crisi energetica e del boom dei prezzi delle materie prime.
Enti locali e PNRR: fra incertezza e nodo appalti
Circa il 77% delle misure corrisponde a progetti già ammessi a finanziamento, per un totale di più di 42.000 iniziative. Qui avviene il cambio di scenario per gli enti locali, che devono indire bandi e gestire progetti di sviluppo senza la copertura finanziaria con la quale erano stati ponderati. Una prospettiva che aumenta l’incertezza, in particolare per le grandi aree metropolitane, titolari della maggior parte dei fondi. La maggior parte dei tagli avverrebbe al Sud, pari a 5,3 mld di euro, contro i 4,1 mld di euro del Nord e i 2,3 mld del Centro. I comuni che subirebbero i maggiori tagli sono Roma (229,5 milioni di euro), Milano (168,7), Genova (146,6) e Napoli (142,1).
Il ruolo minore attribuito agli enti locali nell’ambito del PNRR non può essere ricondotto a una mera scelta politica. Gli effetti delle modifiche proposte al Recovery Plan sono tangibili e misurabili. Comuni, province
e regioni sono attori fondamentali nella realizzazione di buona parte del PNRR poiché sono soggetti attuatori, ossia rappresentano l’ultimo “anello della catena” per la gestione finale delle risorse. Gli enti locali, dopo l’attribuzione dei bandi ministeriali, sono chiamati a bandire gare d’appalto per assegnare i lavori, verificare il rispetto di tempi e vincoli degli stessi e contribuire alla rendicontazione del PNRR, fornendo dati aggiornati sull’avanzamento dei progetti.
Definanziare progetti già assegnati o partiti, con apertura di cantieri inclusa, rischia di aumentare l’incertezza normativa e, di conseguenza, la qualità dei lavori, minandone la fattibilità. L’esito di un bando pubblico ha valenza legale e obbliga chi finanzia a erogare le risorse ai soggetti aggiudicatari. Tuttavia, esistono eccezioni: la PA può ritirare l’aggiudicazione se viene dimostrata la presenza di motivi di interesse pubblico o gravi difficoltà finanziarie. Uno scenario che l’esecutivo ha più volte smentito, assicurando gli enti locali, comuni in primis, che gli interventi verranno finanziati tramite altre fonti, siano esse comunitarie o complementari.
Rivoluzione copernicana o aggiustamenti tecnici?
In generale, il PNRR subisce cambiamenti su più della metà dei progetti, sebbene nella maggior parte dei casi riguardino la modifica di scadenze, spostamenti in avanti degli adempimenti e le modalità di esecuzione dei programmi. In particolare, il Recovery Plan italiano resta focalizzato sulla transizione digitale. Secondo il Dipartimento delle Politiche Europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, “le proposte di modifica del PNRR non eliminano nessuna riforma, a conferma che non viene intaccata l’ambizione del Piano. In alcuni casi, infatti, è stato rafforzato l’impianto riformatore introducendo misure specifiche anche di investimenti che ne sostengono e ne potenziano l’attuazione.” La stessa premier Meloni rassicura: “Laddove non vengano rispettati i tempi, laddove quelle risorse dovessero rischiare di andare disperse, verranno utilizzate per altro. Dobbiamo riuscire a spendere al meglio tutte queste risorse. Perché non ne abbiamo molte, perché ci sono tantissime cose da fare ed è importante che per questo obiettivo lavoriamo tutti insieme.”
Contenuto a cura di Class CNBC
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