Breve storia del trading online
Chi ha inventato il trading online? Rispondere a questa domanda è praticamente impossibile, perché è il frutto di una lunga serie di sviluppi tecnologici e normativi continui che rendono la storia di questa attività un costante fluire di piccoli eventi.
Come ricordato nell’articolo precedente “Che cos’è il trading?“, il trading online nasce dalla convergenza di:
- normativa finanziaria
- informatica hardware e software
- tecnologia di rete.
Partendo dal primo punto, la normativa finanziaria, cioè l’insieme delle leggi, dei regolamenti e delle norme che regolano il settore degli scambi finanziari, ha alla sua base per l’appunto l’attività di scambio di titoli e contratti, che culmina nel luogo ad essi deputato per eccellenza: la borsa.
Ciò significa che per tracciare la storia del trading bisogna dare per acquisita la preesistenza della borsa stessa, degli strumenti finanziari, delle società finanziarie, degli enti che ne regolano l’attività e così via. Il trading quindi si inserisce in un mondo di scambi che esiste da millenni e che si è costantemente evoluto a partire dell’invenzione e dalla diffusione dell’uso della moneta (VII sec. a.C.).
Tecnologia e investimenti negli Stati Uniti
I forti investimenti promossi dal Governo degli Stati Uniti durante la Prima ma soprattutto la Seconda Guerra Mondiale (cioè nei primi 40 anni del secolo scorso), poi nel corso della Guerra Fredda e con lo shock del primo satellite messo in orbita dall’Unione Sovietica, fecero fare un poderoso balzo in avanti alla tecnologia in tutti i campi. Negli Anni ’60 la Difesa USA realizzò una rete di radar per l’avvistamento di bombardieri sovietici sul Nord America, il S.A.G.E., che divenne l’antesignano della rete militare che alla fine degli Anni ’70 divenne Internet e fu successivamente aperta all’uso civile. Da metà degli Anni ’50 molte banche del Vecchio e del Nuovo Continente si erano già dotate di potenti elaboratori per svolgere attività interne, mentre alla fine del ’70 iniziarono ed essere sviluppati i primi elaboratori personali che trovarono diffusione dapprima presso le grandi aziende, poi presso le piccole società e gli utenti privati.
Interviene il Governo
Reti, Internet e computer, negli Stati Uniti e in Europa diventavano sempre più di uso comune, accanto a strumenti come i videotel e i bancomat. E anche alcune borse iniziarono a guardare alla tecnologia per rendere più efficiente gli scambi. In questo caso, due impulsi importanti a livello di normativa arrivarono dall’amministrazione statunitense. A metà degli Anni ’70, infatti, la borsa di New York (New York Stock Exchange o N.Y.S.E.), che chiedeva agli intermediari finanziari un’ingente tassa di negoziazione per poter accedere al suo mercato, chiese al Congresso di poter aumentare la tassa stessa. Il Congresso, anziché aumentarla, la eliminò completamente per favorire la concorrenza nel settore finanziario. Ciò comportò due effetti immediati: la possibilità anche per i meno abbienti di accedere ai servizi di gestione del risparmio attraverso strumenti finanziari quotati in borsa (servizi prima riservati ai più facoltosi proprio per via degli alti costi imposti dalla tassa) e l’esplosione di un enorme numero di piccole società finanziarie – spesso truffaldine – che pubblicizzavano presso le classi popolari altissimi guadagni senza rischi, approfittando dell’ignoranza e dell’ingenuità di molti. La finanza, insomma, andava all’assalto del risparmio popolare, fino ad allora ignorato. Questa piccole società divennero note come “discount broker”, cioè intermediari a sconto, economici.
Alcuni tra i più intraprendenti, iniziarono ad offrire i loro servizi attraverso i computer service come America OnLine o CompuServe, primi servizi online di massa ma basati ancora su reti chiuse e non su Internet.
Borse telematiche
Nel frattempo il governo impose all’associazione dei dealer statunitensi, la N.A.S.D., di rendere più efficiente il circuito di scambio dei titoli scambiati al di fuori dei mercati borsistici (titoli O.T.C., cioè over-the-counter). La N.A.S.D. creò quindi il N.A.S.D.A.Q., le cui ultime due lettere significano appunto “Automated Quotation”, cioè sistema di quotazione avanzato dei titoli. Non era però il primo mercato telematico, poiché qualche anno prima la Borsa di Cincinnati (USA) aveva iniziato a smantellare la sala delle grida, mentre nel 1968 Alan Kay aveva presentato AutEx, la prima borsa telematica poi acquisita da Reuters.
I pionieri del trading
A questo punto abbiamo tutto: normativa favorevole, piccoli e agili intermediari finanziari che puntano a un target di normali risparmiatori, tecnologie informatiche e reti disponibili a costi relativamente contenuti. Il trading online inizia a diffondersi. Dapprima con la possibilità di comunicare l’ordine solo telefonicamente al broker che poi lo invia alla borsa attraverso i suoi computer, poi con la possibilità di comunicare l’ordine attraverso computer collegati a reti chiuse al broker che, manualmente, lo inserisce e lo rinvia. Pionieri della prima generazione di broker online sono le società NAICO-Net, Max Ule &Co. e CD Anderson & Co. Quest’ultima commissiona una piattaforma operativa alla software house Trade*Plus, che poco dopo si metterà in proprio e darà vita a uno dei colossi storici del trading online statunitense e mondiale, E*trade.
Arriva il WWW
Le crisi finanziarie mondiali, in particolare il crollo delle borse del 1987, segneranno una battuta d’arresto per la finanza di massa, chiudendo l’era della seconda generazione di broker online. Ma alla metà degli Anni ’90 arriva la svolta: il World Wide Web o WWW. Al C.ER.N. di Ginevra Tim Barners Lee mette a punto un sistema per rendere la fruizione di documenti su Internet semplice e intuitiva e nel giro di un paio d’anni il Web esplode passando da 1 a 10.000 siti, per lo più commerciali.
Sfruttando la rete pubblica, diffusa e a basso costo molti broker online (la terza generazione) offrono servizi di trading assolutamente innovativi, progressivamente favorita dalla diffusione dell’A.D.S.L. (o connessione a banda larga) fornita dalle telecom.
Il trading in Italia
Da questo momento il fenomeno esplode anche in Europa e poco dopo in Asia. In Italia i primi pionieri muovono i passi a partire dal 1996, in parallelo con la digitalizzazione della borsa italiana, ma è a metà del 1999 che i broker online si moltiplicano e inizia una vera concorrenza a colpi di commissioni sempre più economiche, servizi sempre più efficienti e sofisticati, book sempre più profondi e piattaforme sempre più efficienti.
Lo scoppio della bolla delle dot com nel marzo 2000 frena la crescita impetuosa, ma i trader più esperti “sopravvivono”, e la cavalcata ricomincia. Alcuni anni di mercato laterale spingono all’introduzione di strumenti più complessi e volatili, il Forex, i covered warrant, altri derivati. Il mercato si consolida, i broker puntano sulla formazione, offrono corsi e seminari operativi gratuiti, assistenza operativa, call center sempre più efficienti, mentre i broker di estrazione bancaria integrano con il canale online anche promotori e consulenti finanziari.
L’invasione dei broker Forex esteri
Nel 2006 la Banca d’Italia obbliga le società che offrono il trading sul Forex a diventare SIM o banche, oppure a interrompere l’attività. Quasi tutte chiudono. Quindi, grazie alla normativa europea (Mifid) i broker Forex esteri invadono il mercato italiano: oltre 100 società vengono autorizzate da Consob a operare nel nostro Paese.
La crisi economico-finanziaria iniziata nel 2007-8 e l’improvvisa svalutazione del franco svizzero hanno portato infine un’ulteriore riduzione nel numero dei broker, in particolare di quelli specializzati nel Forex, che in parte si sono riciclati nell’offerta di opzioni binarie. Nel contempo, le banche online del settore hanno consolidato la loro posizione sul mercato, integrandosi maggiormente con le rispettive capogruppo e con servizi e prodotti da queste offerte.
di Andrea Fiorini
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