Cos’è il rapporto prezzo/utile?
Qual è il modo migliore per valutare un titolo azionario? Non esiste una sola risposta: c’è chi si basa sull’analisi fondamentale, che valuta la solidità patrimoniale e la redditività dell’azienda che ha emesso il titolo, chi ha un approccio più quantitativo, che in sostanza si basa sull’applicazione di principi matematici e statistici.
Un punto di partenza condiviso è però quello di mettere a fuoco quanto si sta pagando per acquistare un determinato titolo: l’acquisto è costoso o a sconto? Per capirlo si fa ricorso ai cosiddetti multipli, che si ottengono rapportando i prezzi ai fondamentali (valore di bilancio, utili, flussi di cassa e via dicendo).
La definizione di Price/Earnings
Fra i multipli più noti c’è il rapporto tra prezzo e utile per azione, detto anche P/E, o Price/Earnings ossia il rapporto tra il prezzo di mercato di un’azione e l’utile per azione. Il P/E è uno degli indicatori più usati nell’analisi fondamentale per valutare non solo i titoli azionari ma anche gli indici di mercato.
Si può definire il Price/Earnings come il prezzo, per unità di utile, di un titolo o di un indice. Per esempio, dire che il P/E di un titolo azionario è uguale a 15 vuol dire che il mercato è disposto a pagare 15 volte un’unità di utile prodotto da quella società.
Come si calcola il P/E
Facciamo un esempio, per capire meglio. La società A ha un utile di 10 mila euro e il suo capitale sociale è suddiviso in 10 mila azioni. L’utile per azione è dato dal rapporto 10.000 euro/10.000 azioni, dunque pari a un euro per azione. Se sul mercato il prezzo dell’azione è di 20 euro, allora il P/E è
20 (prezzo dell’azione) / 1 (utile per azione) = 20
Quando il P/E di una società o di un mercato è più basso rispetto a quello di un’altra azienda o mercato, si dice che l’impresa (o mercato) viene scambiata a sconto.
Come si legge questo indicatore
Ora, già di per sé i prezzi di mercato riflettono le aspettative degli operatori sugli utili che l’azienda conseguirà in futuro: il prezzo di un’azione oggi dipende infatti in modo positivo dai dividendi che il mercato si attende che la società distribuirà nel tempo (e in modo negativo dai tassi d’interesse offerti sull’obbligazionario, oltre che dal valore del premio al rischio richiesto dagli investitori per detenere le azioni). Il rapporto prezzo/utile, in più, misura il grado di ottimismo o pessimismo del mercato a proposito del futuro incremento degli utili.
Quindi un alto P/E dovrebbe indicare che il mercato ha grandi attese nei confronti del titolo? Non esattamente. Sebbene il calcolo del rapporto prezzo/utile sia relativamente semplice, la corretta interpretazione di tale parametro e del suo andamento nelle varie fasi di mercato è piuttosto complessa. Tale complessità nasce, fondamentalmente, da due circostanze:
- il price/earnings non è costante nel tempo, dal momento che gli investitori sono disposti a pagare prezzi diversi per unità di utile a seconda delle fasi di mercato;
- non è affatto detto che un titolo o un indice con un P/E basso o alto sia per questo meno o più costoso e, quindi, destinato a performance migliori o peggiori.
Formule diverse, risultato analogo
Torniamo al calcolo. Quali utili si prendono in considerazione? Quelli del trimestre? Quelli del semestre? Quelli annuali? Il rapporto prezzo/utile è un indicatore semplice, ma esistono molti modi per calcolarlo. Il Trailing P/E prende in considerazione gli utili realmente conseguiti. Il Forward P/E, o P/E atteso, considera invece gli utili stimati dagli analisti, in genere calcolati per l’anno successivo.
Il premio Nobel per l’economia Robert Shiller ha calcolato il P/E in altro modo – il cosiddetto Cyclically Adjusted P/E Ratio – rapportando il prezzo di mercato alla media degli utili per azione su un arco temporale di 10 anni, aggiustati per l’inflazione. Come si può intuire, a seconda del metodo di calcolo che si usa si ottengono risultati diversi.
L’intuizione di Graham & Dodd
Un’altra metodologia molto utilizzata è quella di Graham & Dodd, che considera una media degli utili degli ultimi 5-10 anni per cercare di depurarli un po’ dall’effetto del ciclo economico. L’assunto è che gli utili di un singolo anno siano troppo volatili per poter offrire un’idea della profittabilità di un’azienda, di un settore o di un mercato. Analizzando la storia, periodi caratterizzati da elevati P/E di Graham & Dodd sono stati spesso seguiti da anni di rendimenti azionari negativi. Al contrario, bassi P/E di Graham & Dodd sono stati l’anticamera di successivi elevati rendimenti di Borsa.
L’Earnings Yield
Il P/E ha il suo “corrispettivo inverso”, che si chiama Earnings Yield (EY). L’EY è il rapporto tra utile per azione e prezzo della singola azione e viene utilizzato per mettere a fuoco la redditività di un titolo. Proprio come il Dividend Yield, con la differenza che l’EY considera l’utile per azione e non il dividendo. L’uso dell’Earnings Yield aiuta gli investitori a capire se i rendimenti del titolo sono proporzionati al rischio dell’investimento: più alto è il dato, migliore sarà il risultato.
di AdviseOnly
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