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Teoria dei giochi e applicazione negli investimenti

07/11/2019

Correva l’anno 2001 quando nelle sale cinematografiche di tutto il mondo uscì il film “A beautiful mind”, ispirato alla biografia del matematico statunitense John Nash scritta dalla giornalista Sylvia Nasar. Il film ha avuto il merito di far conoscere al pubblico la figura del matematico John Nash, premio Nobel per l’Economia nel 1994.

John Nash è celebre per aver ampliato la teoria dei giochi di John von Neumann e Oskar Morgenstern con il cosiddetto equilibrio di Nash. Di cosa si tratta e come si applica al mondo degli investimenti?

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Introduzione alla teoria dei giochi

La teoria dei giochi deve il suo nome al libro “Theory of Games and Economic Behavior”, pubblicato nei primi anni Quaranta dai già citati von Neumann e Morgenstern. I due studiosi hanno così provato a definire in termini matematici come si comportano gli individui in una situazione che può portare alla conquista di qualcosa. Insomma, questa teoria studia il modo in cui un giocatore cerca di massimizzare il proprio benessere tenendo conto delle azioni e delle reazioni dei suoi antagonisti.

Il gioco tra i vari partecipanti può essere cooperativo o non cooperativo: se i giocatori condividono interessi comuni, allora si parla di gioco cooperativo. E quello non cooperativo, invece? È qui che entrano in gioco John Nash e le sue teorie.

L’equilibrio di Nash e la teoria dei giochi

Nei giochi non cooperativi, i giocatori non possono stringere accordi vincolanti e ognuno partecipa per ottenere il massimo risultato possibile per sé (un po’ come accade sui mercati). A un certo punto, durante il gioco, si delinea una situazione nella quale ciascun partecipante non ha alcun incentivo a modificare la propria strategia. Ed è questo l’equilibrio di Nash: ognuno ha fatto la sua mossa, ha ottenuto qualcosa e, stante la situazione degli avversari, non può migliorare da solo la sua situazione. Non è detto che sia una situazione ottimale per il complesso dei giocatori: d’altra parte, la situazione può migliorare per tutti solo se si inizia a cooperare nell’interesse comune.

Se ciò avviene, la situazione migliora per tutti e si ottiene il cosiddetto ottimo di Pareto. Per capire l’equilibrio di Nash, l’ottimo di Pareto e, più in generale, la teoria dei giochi, può essere utile richiamare alla memoria il dilemma del prigioniero, un tipico gioco non cooperativo proposto negli anni Cinquanta da Merrill Flood e Melvin Dresher e formalizzato da Albert W. Tucker, che ci ha aggiunto la matrice delle ricompense.

Il dilemma del prigioniero e l’ottimo di Pareto

Secondo il dilemma del prigioniero, due individui vengono arrestati con l’accusa di aver commesso un reato insieme. Gli investigatori li rinchiudono in due celle separate e impediscono loro di comunicare in qualunque modo. Ai due sospettati viene proposto di confessare, posto che:

  • se solo uno dei due confessa, chi ha confessato evita la pena ma l’altro viene condannato a 12 anni di carcere;
  • se entrambi confessano, vengono tutti e due condannati a sei anni;
  • se nessuno dei due confessa, entrambi vengono condannati a un anno.

Il che si può riassumere con la seguente matrice:

Ora, è chiaro che il “win-win” (cioè la situazione migliore per entrambi i prigioneri) sarebbe la mancata confessione di entrambi: in questo caso, infatti, la pena per tutti e due è di un solo anno, e questo sarebbe l’ottimo di Pareto. Ma, lo abbiamo detto, siamo di fronte a un gioco non cooperativo, nel quale non c’è la possibilità di accordarsi e ognuno dei due prigionieri è chiuso nella sua cella alle prese con il rischio concreto che l’altro confessi.

Ecco allora che l’equilibrio di Nash – quel punto nel quale, come detto, nessuno dei due giocatori può migliorare il suo risultato modificando solo la propria strategia (e non potendo intervenire in alcun modo su quella dell’altro) – prevede che entrambi confessino. In questo caso, infatti, la condanna è di sei anni per tutti e due: che sono più di uno, ma sempre meno dei 12 che scatterebbero a fronte della confessione (rischio concreto) dell’altro.

Le implicazioni in campo economico della teoria dei giochi

La teoria dei giochi può essere applicata a molti casi economici, sia micro che macro. Per esempio, restando nel campo microeconomico, la teoria dei giochi si applica tra due imprese per fissare il prezzo di un bene, tra un’azienda e un consumatore per la vendita di un prodotto, o fra un creditore e un debitore per la concessione di un prestito.

In campo macroeconomico si può applicare alle trattative sui dazi commerciali tra Stati Uniti e Cina e ai rapporti tra le economie forti e quelle deboli dell’area euro, laddove le prime cooperano rinunciando a parte delle risorse per aiutare i Paesi in difficoltà e le seconde lo fanno cedendo sovranità e adottando le misure di austerità imposte dagli Stati che presentano i dati e i conti economici più robusti.

L’applicazione nel campo degli investimenti

Qui, invece, è molto difficile – per non dire impossibile – individuare una strategia dominante e un equilibrio di Nash, perché ognuno ha a che fare con un numero indefinito di altri giocatori le cui scelte non sono mai del tutto prevedibili. Tuttavia, in alcune situazioni la teoria dei giochi può aiutare a mettere a fuoco la scacchiera sulla quale ci muoviamo. Facciamo un esempio. Per raccogliere capitali sul mercato, una banca in estrema difficoltà lancia un’offerta di conversione delle obbligazioni precedentemente emesse in azioni. Ma diventare azionista implica un maggior rischio – non a caso si chiama “capitale di rischio”. Ora, secondo la matrice del dilemma del prigioniero, abbiamo le seguenti combinazioni.

  1. Converto io e convertono tutti: divento, insieme a molti altri, azionista di una banca dal futuro decisamente meno incerto, in quanto ricapitalizzata, ma come azionista assumo rischi maggiori rispetto alla situazione precedente.
  2. Converto io, ma gli altri non convertono: divento azionista, ma sono tra i pochi e la banca è probabilmente condannata, e rischio con elevata probabilità di vedere azzerato il valore delle mie azioni.
  3. Non converto, ma gli altri lo fanno in massa: è lo scenario migliore per me, perché probabilmente la banca si salverà, io rimarrò obbligazionista e mi restituiranno il capitale a scadenza.
  4. Non converto, e anche gli altri non convertono: si rimane obbligazionisti, quindi creditori della banca in difficoltà, ma dato il numero di investitori coinvolti è probabile che la banca rischi di fallire. In tal caso però c’è la possibilità che vi sia un intervento pubblico a parziale salvaguardia degli obbligazionisti, se persone fisiche: significa che una parte del capitale investito verrà restituito.

In questo caso, è abbastanza evidente che la soluzione migliore, cioè l’ottimo di Pareto, sarebbe che tutti gli obbligazionisti effettuassero la conversione, salvando la banca e diventandone azionisti. Se invece prevale la diffidenza, nessuno converte, e questo è l’equilibrio di Nash.

Per prendere la decisione migliore dovremmo riuscire ad avere un’idea il più possibile precisa di cosa intenda fare la maggior parte dei possessori di obbligazioni, inquadrando la situazione con la logica della teoria dei giochi e del dilemma del prigioniero.

 

di AdviseOnly

 

 

 

 

L’articolo è di carattere divulgativo aggiornato alla data di pubblicazione. Per conoscere l’offerta della Banca consulta l’area Prodotti.

 

 

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